Le reali emissioni effetto serra: il “peso” dei gas refrigeranti

Agli appartenenti alla filiera della produzione e commercio dei beni alimentari certamente non sarà sfuggito un interessante articolo comparso sulla testata di fama internazionale “Washington Post”.

 

Si parla sostanzialmente della fondamentale importanza della refrigerazione nella catena che va dalla produzione di beni alimentari alla distribuzione fino alla conservazione in situ del cliente finale.

Nei Paesi sviluppati questa questione si pone, è vero, ma in misura completamente differente da quanto avviene nei Paesi in via di sviluppo.

Suscita emozione una dichiarazione di un agricoltore nigeriano: “Gli agricoltori perdono il 50 % del loro raccolto a causa del deterioramento… Non abbiamo sufficiente energia elettrica per mantenere il cibo fresco e consumabile nelle scorte dei mercati…” Pensiamo a quanto riteniamo semplice la soluzione a questo problema: refrigerazione delle merci, in Europa la abbiamo ovunque. Pensiamo a quanto diviene invece vero e proprio “oro bianco” l’energia elettrica dove c’è poca acqua e dove non vi sono ingenti risorse economiche per costruire immense centrali eoliche o fotovoltaiche.

Nella Pianura Padana, così come in vaste aree della verde Europa, nel 2022 stiamo fronteggiando una gravissima crisi idrica. La produzione di energia idro elettrica vira verso i minimi storici. In Germania si ricomincia a bruciare carbone per produrre. Tutto effetto serra indiretto, masse enormi di CO2 immesse in atmosfera.

L’aria condizionata è necessaria per la vita degli esseri umani. Le elevate temperature esterne ben oltre i 40 °C testimoniano la vitale importanza del raffrescamento in locali pubblici, in scuole, ospedali, case nelle quali vivono anziani o persone con patologie.

La refrigerazione è vitale. Dobbiamo vederci chiaro: contenere il GWP dei gas refrigeranti è importante, a questo punto è un obbligo, un impegno sociale, è inevitabile.

Contenere i consumi energetici è divenuto molto più importante. Ce ne siamo accorti quasi improvvisamente, siamo scossi, colpiti dall’aumento dei costi energetici, ci accorgiamo che l’oro bianco elettronico è sempre più carente e ora sappiamo che è una pesante fonte di inquinamento effetto serra e lo sarà per molto tempo ancora.

 

La Refrigerazione ci permette la vita, i gas refrigeranti permettono di refrigerare le merci e raffrescare l’aria. Ma quanto effetto serra diretto producono?

 

La risposta viene dai numeri, come sempre. Il noto “Centro Studi Galileo” nel corso della giornata mondiale della refrigerazione, importante evento globale che ha raccolto opinioni da parte dei principali esperti di settore, ha reso noti i numeri relativi all’effetto serra generato in maniera diretta (quando è indiretto è dovuto al consumo energetico) dai gas refrigeranti, perlopiù sintetici.

Nella Fig. 1 i dati statistici ufficiali.

Fig. 1: Impatto diretto dei gas refrigeranti sull’effetto serra

 

Quindi solo il 2 % delle emissioni serra dipendono dai gas refrigeranti, nel settore della refrigerazione, ovvero prevalentemente nella filiera alimentare e farmaceutica.

Questi sono dati globali. Pensiamo a quanti Paesi in via di sviluppo sono costretti per ragioni economiche ad utilizzare vecchi gas come gli HCFC o gli HFC datati che generano pesante effetto serra diretto. È palese che il contributo di questi Paesi all’inquinamento serra è preponderante rispetto al mondo occidentale. Soprattutto confrontato all’Europa dive vige ormai da anni la FGas che impone severe norme per il controllo delle perdite i gas in aria andando così a limitare severamente l’effetto serra diretto dei gas refrigeranti.

 

Dobbiamo quindi preoccuparci del GWP, dell’equivalente effetto sera dei gas refrigeranti quando vengono dispersi in aria?

Certamente sì. Possiamo invece permetterci di trascurare il T.E.W.I. ovvero il totale effetto serra considerando soprattutto il consumo energetico delle macchine che producono il freddo alimentare o l’aria condizionata?

Certamente no.

 

L’impatto totale (diretto + indiretto) su effetto serra nella refrigerazione è misurato dall’indice “T.E.W.I.”

 

Come spesso accade, gli USA sono una importante fonte di dati e di analisi statistiche.

I dati rappresentati nella Fig. 2 sono un poco datati trattandosi di statistiche sui grandi numeri, questo è inevitabile. Sono tuttavia utilissimi per un semplice ragionamento.

È del tutto evidente e incontrovertibile che anche considerando perdite di gas in aria consistenti (questi dati sono riferiti ad un’epoca nella quale non vi erano obblighi sul contenimento delle perdite), adottando tecniche di refrigerazione moderne, l’effetto serra attribuibile al consumo energetico è preponderante rispetto all’effeto diretto.

Questo dato è consistente, si parla di differenze sostanziali, non da poco.

Tutto ciò conferma quanto ripetiamo ossessivamente: contenere il consumo energetico è il primo passo verso la riduzione dell’effetto serra nei settori refrigerazione e aria condizionata.

Fig. 2: Impatto diretto di alcuni gas refrigeranti HFC sull’effetto serra - USA

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